Reverse charge fatture estere: scopri come funziona
- Gianmarco Pollice
- 12 gen 2024
- Tempo di lettura: 7 min
Indice dei contenuti
Il reverse charge estero è un meccanismo fiscale che si applica agli acquisti di beni o servizi esteri da parte di aziende/lavoratori autonomi italiani. In questi casi particolari, l'IVA non viene riscossa dal fornitore estero, ma viene assolta dal cessionario/committente italiano che effettua l’acquisto. Questa inversione di ruoli nella “riscossione” dell’IVA rappresenta la caratteristica principale del meccanismo ed è anche quella che gli conferisce il nome “reverse”.
Tuttavia, per comprendere appieno il reverse charge, è importante prima fare un passo indietro e capire come funziona l'IVA in una transazione standard (acquirente e venditore entrambi italiani), in modo da poter cogliere a pieno le differenze e le specificità di questo meccanismo nelle operazioni internazionali.
Come funziona l’IVA?
L'IVA, o Imposta sul Valore Aggiunto, è un'imposta indiretta che incide sui beni e servizi consumati. In Italia, questo meccanismo fiscale opera in modo che, durante una transazione commerciale (ad esempio, tra un'azienda e un lavoratore autonomo o una società), il venditore aggiunge l'IVA al prezzo di vendita. Questo significa che il prezzo finale che il cliente paga include sia il costo netto del bene o servizio sia l'importo dell'IVA.
Il ruolo del venditore, tuttavia, va oltre la semplice aggiunta dell'IVA. Egli è proprio “responsabile” della riscossione dell'IVA applicata a tutte le transazione e del suo successivo versamento allo Stato tramite F24. La frequenza di questo versamento può variare: la periodicità standard è mensile, ma le piccole imprese possono scegliere di versare l'IVA dovuta trimestralmente, una scelta che può aiutare nella gestione dei flussi di cassa e negli adempimenti.
Da parte sua, la parte acquirente della transazione che si è vista addebitare l’IVA, ha la possibilità di “scalare” (in gergo tecnico detrarre) l’IVA pagata sui propri acquisti dall’IVA collezionata sulle proprie vendite, andando poi a versare (mensilmente o trimestralmente) l’IVA dovuta come differenza tra IVA collezionata sulle vendite e IVA pagata sugli acquisti. Tutto ciò, a patto che l’acquirente sia un soggetto passivo IVA (cioè un imprenditore o un lavoratore autonomo).
Il principio fondamentale dell'IVA è che essa è un'imposta sul consumo finale, pertanto, l'onere finale dell'IVA ricade “a cascata” sul consumatore finale, che non può detrarla dalle sue vendite perché egli è un semplice consumatore senza attività di impresa. In questo modo, l'IVA si configura come un meccanismo attraverso il quale lo Stato incassa un'imposta sul consumo effettivo.
In sintesi, nel contesto italiano, l'IVA viene addebitata ai propri clienti dal cedente/prestatore, il quale la riscuote e la versa periodicamente allo Stato, al netto dell’IVA che ha pagato sui propri acquisti. Questo meccanismo assicura che l'IVA venga assolta in maniera più o meno efficace, garantendo che l’onere finale venga “assorbito” dal consumatore.
Nel caso del reverse charge, invece, ci troviamo nella situazione inversa.
Cos’è e come funziona il reverse charge con le fatture estere
Il reverse charge estero è un meccanismo IVA specifico per le transazioni internazionali, sia all'interno dell'Unione Europea (UE) che con paesi extra-UE. In questo caso, invece che il venditore estero, è l'acquirente italiano a gestire l'IVA, applicandola tramite un'autofattura e versandola direttamente allo Stato italiano.
Per capire come funziona, immaginiamo una situazione in cui un'azienda italiana, dotata di partita IVA e quindi non un consumatore finale, acquista beni o servizi da un fornitore estero, ad esempio francese o tedesco.
In un contesto internazionale, il fornitore estero non può applicare l'IVA del proprio Paese né tantomeno quella italiana sulla fattura, poiché non è soggetto alle normative fiscali italiane. Di conseguenza, la fattura che l'azienda italiana riceve è priva di IVA. Qui entra in gioco il meccanismo del reverse charge: l'azienda italiana deve auto-applicarsi l'IVA facendo un’autofattura.
Questo processo può sembrare complicato, ma è più semplice di quanto si pensi. L'azienda italiana crea un'autofattura, dove aggiunge l'IVA italiana al prezzo del bene o servizio acquistato. Ad esempio, se l'acquisto è di 100 euro, l'azienda italiana emette un'autofattura di 122 euro considerando un'IVA del 22%. Questa autofattura non è una vera e propria fattura di vendita, ma un documento contabile che serve a “regolarizzare” la situazione IVA in Italia per l’acquirente.
La particolarità di questo sistema è che, nonostante l'apparente complessità, il risultato finale (nella maggior parte dei casi) è neutro dal punto di vista finanziario. L'IVA auto-applicata viene registrata sia come debito (tra le fatture di vendita) sia come credito (tra le fatture di acquisto) nei registri IVA dell’azienda italiana. In pratica, l'IVA che l'azienda si auto-addebita viene contemporaneamente detratta, portando a un saldo zero. Questo meccanismo assicura che l'IVA sia correttamente assolta nello Stato in cui il consumo finale avviene, rispettando le normative fiscali senza creare oneri aggiuntivi per l'azienda.
Il reverse charge è quindi una procedura essenziale ed obbligatoria per gestire correttamente l'IVA nelle operazioni commerciali internazionali, garantendo che le transazioni siano conformi alle normative fiscali sia nazionali che internazionali.

Come effettuare l’autofattura per il reverse charge
Con autofattura si intende una tipologia "particolare" di fattura, che deve essere emessa in corrispondenza dell'operazione in esame e trasmessa entro il 15 del mese successivo alla ricezione della fattura estera: essenzialmente, l'azienda si auto-emette una fattura, replicando quella ricevuta dal fornitore estero e aggiungendo l'IVA italiana.
L'azienda deve quindi ricordarsi di scaricare e conservare le fatture estere, per poi emettere un'autofattura per ciascuna di esse. Questo documento deve essere generato elettronicamente, seguendo le norme della fatturazione elettronica, e va trasmesso allo SDI entro il 15 del mese successivo alla ricezione della fattura originale.
Nella compilazione dell'autofattura bisogna fare molta attenzione alla scelta della tipologia documento (codice TD), avendo lo scrupolo di inserire il codice adatto alla tipologia di operazione estera. Una volta scelta la tipologia di documento corretta, si può passare alla compilazione vera e propria, tenendo a mente le seguenti particolarità:
nell'autofattura che vai ad emettere, tu sei il cliente destinatario, mentre il tuo fornitore è il cedente/prestatore;
come data della fattura è necessario mettere l'ultimo giorno del mese in cui essa è stata ricevuta;
nella descrizione della autofattura, è necessario richiamare il documento estero al quale essa si riferisce, inserendo per esempio il numero e la data della fattura estera oggetto di autofatturazione;
è altamente consigliabile impostare una numerazione ad hoc per le autofatture. Molti software di fatturazione elettronica la propongono già automaticamente, altrimenti bisogna intervenire a mano;
in caso di difficoltà, rivolgersi al commercialista.
Perchè fare il reverse charge estero è importante
Il concetto di reverse charge estero può sembrare inizialmente come un inutile operazione contabile dove l'IVA semplicemente si annulla, ma la realtà è più complessa.
Infatti, ci sono situazioni in cui l'IVA su certi beni o servizi acquistati dall'estero (come accade anche per alcuni beni/servizi acquistati in Italia) non è completamente detraibile. In questi casi, il saldo IVA derivante dall’applicazione del reverse charge non risulterà nullo, ma genererà un costo aggiuntivo per l’azienda derivante dall’IVA a debito indetraibile (proprio come succederebbe se la transazione fosse avvenuta in Italia).
Inoltre, per i contribuenti in regime forfettario, la situazione è ancora più stringente. Come noto, questi soggetti non hanno la facoltà di detrarre l'IVA sugli acquisti. Di conseguenza, quando applicano il reverse charge su transazioni internazionali si troveranno sempre a fronteggiare un'IVA che non possono in alcun modo compensare. Questo comporta un impatto diretto e inevitabile sulle loro finanze, poiché l'IVA auto-addebitata dovrà essere sempre versata allo Stato entro il 16 del mese successivo. Per un forfettario, quindi, il reverse charge non sarà mai un’operazione neutra. Un classico esempio di fatture estere ricevute da un forfettario sulle quali è necessario pagare l’IVA ogni mese è quello delle fatture ricevute da parte di Booking per le commissioni di prenotazione addebitate ai gestori di bed and breakfast, alberghi, case vacanze ecc.
Quindi, il reverse charge estero è un meccanismo essenziale non solo per la conformità fiscale sulle transazioni internazionali, ma anche per le sue implicazioni finanziarie, in particolare per chi opera in regime forfettario o per l’acquisto di alcuni beni particolari soggetti a indetraibilità, e chi non lo assolve va incontro a delle sanzioni.
Sanzioni per mancata o errata applicazione del reverse charge
E’ importante precisare che il reverse charge estero è una procedura obbligatoria, e non una semplice formalità di cui è possibile dimenticarsi.
Se non si effettua l’operazione del reverse charge, all’acquirente è applicabile la sanzione fissa da 500 euro a 20.000 euro.
Qualora, però, l'operazione non risulti nemmeno dalla contabilità (quindi dal libro giornale o dal registro acquisti), la sanzione è elevata ad una misura compresa tra il 5% e il 10% dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro.
Per l'imposta che il cessionario/committente non avrebbe potuto detrarre, rimangono le sanzioni da indebita detrazione e da dichiarazione infedele. È quindi sanzionato il cessionario/committente che non integra la fattura emessa dal cedente/prestatore con le indicazioni dovute (aliquota, imposta) e/o che omette la doppia annotazione nei registri IVA.
Esistono poi altre tipologie di sanzione per ogni casistica particolare. Le sanzioni possono essere ridotte attraverso il meccanismo del ravvedimento operoso.
Consigli utili per applicare il reverse charge correttamente
Per gestire correttamente il reverse charge per le fatture estere, il nostro consiglio è quello di organizzare una routine che ti permetta di:
raccogliere alla fine di ogni mese tutte le fatture estere ricevute (via mail o fisicamente) riguardanti gli acquisti effettuati nel mese stesso,
archiviare tutte queste fatture in una cartella di google drive divisa per mese;
emettere autonomamente le autofatture con un software di fatturazione elettronica oppure condividerle tempestivamente (entro massimo il 10 del mese successivo) con il tuo commercialista che emetterà le autofatture per tuo conto.
Per esempio, se effettui 10 acquisti all’estero nel mese di novembre, il 30 novembre raccogli tutte le fatture ricevute e stabilisci un giorno preciso, entro il 15 di dicembre, in cui ti dedicherai alla creazione e alla trasmissione delle 10 autofatture. Questo ti aiuterà a mantenere tutto in ordine e ad evitare possibili dimenticanze.
Inoltre, per qualsiasi dubbio o per gestire situazioni più complesse, considera l'idea di consultare un commercialista. L'assistenza di un esperto può essere preziosa per effettuare correttamente il processo e per evitare errori. Infatti, all’interno dell’autofattura dovrai inserire delle apposite diciture e codici natura IVA per non rischiare di incorrere in errori e/o sanzioni.
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